Tutti i calendari mentono: l’antiromanzo che interroga Paolini e Dostoevskij
Intervista pubblicata su Satisfiction
Tutti i calendari mentono è il nuovo romanzo di Pasquale Vitagliano pubblicato nel 2021 da Giazira Scritture ed. e racconta, intrecciandole con sapienza quantistica, le vicende di una numerosa famiglia del sud Italia e la cronaca misteriosa dell’ultimo decennio di un’Italia sempre più inserita nello scacchiere del malaffare globale. La narrazione procede alternando squarci di vite quotidiane con riferimenti non solo alla materia di cui l’autore si occupa, la giurisprudenza, ma anche alla letteratura, alla storia, al cinema, alla pittura, alla fisica, alla psicologia. I personaggi, pur numerosi, sono soggetti veri e propri, desideranti e carnali. L’andatura del romanzo è piacevolmente variegata, a volte come onda sonora di prosa magnetica e fluida, a volte come corpuscolo d’informazione dal taglio saggistico-giornalistico. La famiglia di Tommaso e Sara, il nucleo principale da cui prende le mosse il romanzo, è dipinta a tinte a volte cupe a volte nostalgiche, senza apparire come quel luogo comune in cui potrebbe precipitare una certa letteratura consolatoria e allo stesso modo, le vicende storiche legate alla questione di Eni, della mafia, dei rapporto ambigui tra Stato, economia e malaffare, lungo una dorsale che collega soprusi al patrimonio idrogeologico, misteri irrisolti, dighe e ponti che esplodono previsti, sono attraversate da una scrittura precisa, coinvolgente e mai soporifera, morale e per niente moralistica. Interessante è l’interpolazione del testo narrativo e il gioco dialogico tra narratore e lettore, tra personaggio e ascoltatore, nei rimandi fatti di anticipazioni e retrospezioni, probabilità e deduzioni cui la stessa voce narrante prende parte segnalando però una costituzionale impossibilità a determinare gli esiti privati della famiglia e le conseguenze pubbliche della Storia. Pasolini, Dolci, Freud, Lacan, la fisica quantistica, Aldo Moro, la diga del Vajont sono alcuni dei personaggi-luoghi, degli eventi attrattori intorno e dentro ai quali si formano gli eventi della famiglia di Tommaso e Sara, lungo i capitoli, i sette peccati capitali, venti partizioni drammaturgiche che s’intrecciano in un entanglement quantistico: «la sequenza delle generazioni è simile alla struttura del tempo secondo la fisica quantistica. Come per le parentele il tempo definisce un ordine parziale e incompleto. Fuori da questo ordine esiste un presente esteso, cioè tutti quegli eventi che non sono né passati, né futuri. Questi eventi, in pratica, sono come gli esseri umani che non sono nostri parenti, che fanno parte di altre storie, dentro altri concatenamenti» appunto, di pubblico e privato, di autore, di personaggi e di chi legge.
Gianluca Garrapa
«“Tutti i calendari mentono”, incominciò Nikolaj Vsèvolodòvic Stavrògin con un sorrisetto gentile,» dunque nasce da qui il titolo del tuo romanzo?
Si, ho concepito l’opera come un doppio del Petrolio di Pasolini, in cui pure è presente il richiamo ai Demoni di Dostoevskij. La chiave di connessione è la tesi di Roland Barthes che non bisognerebbe perdere tempo a scrivere nuovi libri, ma cimentarsi in una permanente riscrittura delle opere del passato. L’anti-romanzo di Pasolini è per me di una disperata attualità e l’ho ripreso per sperimentare una nuova forma di scrittura. Sul piano dell’ispirazione etica, infine, l’assunto è, per via di deduzione logica, che se esistono i Demoni, allora esisteranno anche gli Angeli.
«Se invece preferite continuare con la divagazione su questo tema, e più generale, sul mare, sui suoi abitanti, e su come le loro storie possano aiutarci a capire le nostre, lasciate momentaneamente questo libro e iniziate a leggere Hermann Melville.» Una della particolarità più riuscite di questo romanzo è l’interpolazione della linea narrativa e la capacità di intrattenere un dialogo con chi legge, un gioco di rimandi e anticipazioni, in cui la voce narrante diventa essa stessa personaggio: raccontaci come si è formata, alla luce di tutto questo, la struttura del tuo romanzo, in particolare la genesi dei personaggi.
In questo lavoro di ri-scrittura, che in realtà ha l’ambizione di ricercare nuove forme di narrazione, il testo è uno spazio, anzi un vero e proprio sistema solare, che delimita la storia-tempo collettiva, mentre le storie private sono i pianeti, che si tengono insieme secondo proprie leggi astronomiche. Il narratore-navigatore accompagna, come l’astronauta di 2001-Odissea nello Spazio, il lettore in questo viaggio. Come hai colto perfettamente, egli stesso è un personaggio ed interagisce con il racconto.
«Visto privatamente, questo quadro, poteva turbare e respingere, come una qualche variante dell’inferno, ma rappresentato all’esterno rassicurava e attraeva, in quanto esemplare vissuto della stabilità della famiglia, società naturale e caposaldo sociale.» La famiglia che descrivi è anomala in quanto numerosa e la struttura del libro ricorda le grandi narrazioni del passato, affresco godibile che traccia un’antropologia anche dello scrivere. Secondo te, c’è un rapporto tra le nuove narrazioni e la trasformazione della famiglia?
Assolutamente sì. Dentro questo universo, la famiglia è la Terra. Come questa risente di ogni intervento che gli esseri umani operano all’esterno, con la tecnologia, la scienza, il diritto, l’economia, la cultura. L’antropocene non modifica solo l’ambiente, trasforma la stessa umanità, di cui la famiglia è il fenomeno più sensibile. Il percorso può essere fatto anche a ritroso. Attraverso i cambiamenti della famiglia possiamo intuire e comprendere la nostra continua trasformazione antropologica. Senza esprimere giudizi. Anzi, se proprio devo individuare un principio etico, che in realtà è più una bio-poetica, la vita naturale degli esseri umani, di cui la famiglia è solo l’organizzazione, intendendola chiaramente in qualsiasi sua forma, non solo quella tradizionale, è sempre “felice”. Così, anche se la famiglia D’Amato è un Inferno, i sette (più 1) figli non sono Demoni, ma Angeli.
«Esiste un filo nascosto che intreccia la storia della famiglia di Tommaso D’Amato alle vicende molto più importanti della storia d’Italia che sono cascate in questa trama, esclusa la circostanza che uno dei suoi sette figli, Pietro, ne sia stato, almeno a quanto lui racconta, involontario testimone?» C’è una piacevole dissociazione autoironica: l’autore del romanzo e il testimone delle vicende storiche. Con quale criterio hai deciso di intrecciare una storia famigliare con quella di certi particolari eventi della storia pubblica?
Come ho detto, le storia private sono attratte dalla storia collettiva da una sorta di misteriosa forza gravitazionale. Al di là della semplice constatazione che la storia incide sulle nostre vite, le guerre, la pandemia, l’economia, ho come l’impressione che esista una dimensione meno visibile in cui i destini si intrecciano. Credo che ciascuno di noi possa raccontare di essersi trovato almeno una volta nella vita corpo a corpo con la Storia, con un grande evento. È come se esistesse un Mondo Parallelo nel quale spazio e tempo seguono altre regole; nella nostra vita lo percepiamo, lo intuiamo, non ce lo spieghiamo, solo che la terra di mezzo tra la realtà e questa dimensione non è l’occulto ma la letteratura. Insomma, se il mondo, come si dice, è piccolo (specie al tempo del Web), in realtà, è ancora più piccolo di quanto noi crediamo.
«La stessa Camorra dentro questa narrazione anestetizzante ha perso effettività e pericolosità.» Cosa ne pensi della narrazione televisiva e cinematografica attuale riguardo i temi della mafia, a parte la tentazione di emulazione dei criminali che diventano, appunto, dei personaggi? Come può la narrazione tout court comunicare la necessità della non identificazione?
Non so. In superficie, mi piace, mi attrae. Ne riconosco e mi riconosco nella spinta morale di denuncia. Eppure, mi resta una sensazione di incompletezza e di inganno. Ho quasi il timore che sia stata creata un’involontaria estetica ed una mitologia del sopruso e dell’illegalità, che se non arriva alla legittimazione, almeno, come dici tu, anestetizza. Quando l’orrore non atterrisce, ma attrae spettatori, quando la denuncia non catalizza il cambiamento, il risultato non intenzionale è l’accettazione dello “spettacolo”, se non l’emulazione. All’opposto, invece, qualsiasi forma di espressione artistica dovrebbe essere un’esperienza esistenziale, che ravvivi i sensi, ripristinando il nostro esserci al mondo.
«“Non abbiate soggezione dei medici – testimonia Nanni Moretti parlando della sua malattia – I medici non sanno ascoltare”.» Un altro tema del romanzo è il disagio psichico, che io definisco malattia del desiderio, in particolare di due dei protagonisti, Silvana e Giacomo. Interessante è la capacità di ascolto che la voce narrante pone in atto nei confronti della Storia e di tutte le storie particolari: come funziona il desiderio dell’autore in questo romanzo rispetto alla ricerca delle fonti, ad esempio e alla loro messa in narrativa?
Non applico competenze disciplinari, che non possiedo. Intuisco che non c’è separazione tra psiche e corpo, sensazioni e pensieri. Se siamo vivi e abbiamo piena coscienza di esserci integralmente, le nostre capacità di lettura e di comprensione del mondo vengono esaltate. Attingiamo a tutte le forme espressive, interagiamo criticamente con ogni informazione che riceviamo, impariamo a collegare ciò che appare lontano e a separare cose ingannevolmente associate. La tecnologia e il web ci aiutano, possono davvero diventare in questo delle protesi, nello scrivere un grande e unico testo, insieme individuale e universale, del quale noi stessi siamo parte. Il sogno della biblioteca umana di Borges può finalmente attuarsi.