Carlo Zaza e la sua bibbia per appassionati ed editor
(Recensione tratta dal blog letterario lesfleurdumal)
Del giallo molto se ne parla, ma poco si comprende.
Troppo tentacolare, troppo sfumato per poter avere un identità precisa e essere definito nei suoi aspetti essenziali.
Esiste il bisogno del delitto per poter scrivere il genere?
Servono indizi?
Serve un mistero?
E cosa dire dell’ambientazione?
È possibile poi definirne i limiti?
E quanta contaminazione può contenere affinché esso non diventi altro?
Ogni amante di questo intricato mondo si pone le fondamentali domande che scaturiscono dalla voglia, legittima, di non oltrepassare la soglia, di non sconfinare nel mondo altro della letteratura.
Eppure, nessun genere, come nessuna cultura del resto (fonte da cui tutta la letteratura discende) non può dirsi sicuramente pura.
Ed è questa convinzione che pone delle domande utili, se non al lettore almeno ai cosiddetti addetti ai lavori: recensori, blogger, editor e valutatore.
Come su può, infatti, corregge, o analizzare un libro se non partendo dalle sue basi e dalle fondamenta?
E cosi giallo, noir, thriller divengono sinonimi e ognuno si colora della tonalità che più piace al soggetto.
E cosi il libro diviene semplicemente frutto della percezione dell’altro, rischiando di perdere la sua identità.
Seppur contrastato dagli scrittori che accusano il gemere di limitare la propria creatività, esso diviene una sorta di indicatore del perché si scrive e del senso primario della comunicazione. Il genere, quindi, diviene una sorta di primo indizio sulla comunicazione che il creativo dona al suo destinatario, cosa vuole offrire di cosi importante, tanto da averlo spunto a raccontare.
Del resto le storie sono questo, memoria, informazione, percezione, necessità e sopratutto senso e significato.
E il giallo, come ogni altra forma di arte ha la sua necessità semantica e semiotica.
Ma la situazione resta confusa: cos’è quindi davvero il giallo?
Perché definite un libro in cotal modo?
Cosa occorre di essenziale, di fondamentale per poterlo collocare, almeno in parre, in un territorio preciso?
Pur tenendo con me, inciso nel cuore il motto batesoniano “la mappa non è il territorio” trovo estremamente doveroso ottenere una sorta di vademecum capace di orientarmi e di spingermi verso la meta: ossia la domanda.
Ho bisogno di emozioni?
Di adrenalina?
Di sogno o di comprensione del mio reale?
Ecco che il libro di Carlo Zaza diviene una sorta di “bibbia” utile al recensore cosi come all’editor e sopratutto al lettore.
Che indirizzato al meglio può apprezzare il giallo e anche comprendere i suoi punti di fora.
Senza necessariamente ambire alla sua trasformazione in altro.
Ecco che la nebbia, nel proseguo della lettura si dipana e comprendiamo come in quel tipo di letteratura è essenziale il crimine, il delitto, la risoluzione di un mistero ma anche e sopratutto, cosa comporta l’atto criminale nella società e nel tempo in cui avviene.
Sono questi essenziali elementi, che si sfumano poi ad abbracciare anche altro, ma non necessariamente altro a donarci quella curiosità anche morbosa (ammettiamolo) che ci fa buttare a capofitto nelle acque torbide del male.
Differenza sostanziale e da me invocata a gran voce va poi eseguita sui generi spesso e troppo spesso sottolineo, confusi e usati in modo erroneo ossia noir e poliziesco.
Se il secondo è il “canovaccio DEL genere” il primo ha un ampia gamma di interesse oserei dire antropologico. Ecco le parole di Zaza:
Il vero aspetto differenziale è quindi nella soluzione del conflitto. Latente o effettivo che sia, nel noir il conflitto non ha soluzione, o comunque non importa che una soluzione vi sia o meno; perché l’interesse di chi scrive di noir non è risolvere il conflitto del crimine con la legalità, ma rappresentare il crimine nelle sue manifestazioni, siano esse psicologiche, interpersonali o sociali. Nel giallo, invece, la storia ha la sua naturale conclusione nella soluzione del conflitto e nella riaffermazione della legalità, quanto meno nel disvelamento del crimine.
Ed è questo l’aspetto che riesce a farci comprendere come l’attenzione al crimine non è solo una sorta di vena voyeuristica, ma la necessità tutta umana di dare un volto al male, una sua dimensione in modo da poterlo circoscrivere, per combatterlo.