Bibolotti e il Minotauro: leggere l’incubo per comprenderlo

Bibolotti e il Minotauro: leggere l’incubo per comprenderlo

Recensione di Alessandra MICHELI
Si ringrazia il blog lefleurs du mal

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Un libro terribile, seppur splendido, che non lascia scampo.

Non fa respirare, quasi, la Bibolotti.

Con un flusso di coscienza che appare vischioso e tentacolare ingloba la mente del lettore e la rinchiude in una prigionia fatta di soprusi, di sensi di colpa e di amore tossico.

Perché è tossico cosa subisce la nostra protagonista.

Violenze e umiliazioni.

Botte, lividi che rifulgono persino nel sole, incapaci di essere nascosti a un’umanità che al tempo stesso sembra accettarli.

Perché in fondo anche la protagonista li trova quassi giusti.

Nei pensieri di Adele c’è una visione lucida e al tempo stesso impregnata di sconfitta, capisce che l’asticella del pericolo si sposta sempre di più sulla via di non ritorno.

Sa che è oramai prigioniera in una gabbia fatta di orrore, ma al tempo stesso davanti a una possessività morbosa non riesce a sottrarsi, scappare e chiedere aiuto.

Eppure sa che il suo uomo, Gimmi, viene descritto senza sconti o compassione.

Non c’è neanche un alibi in quelle scene che fanno sussultare il cuore, che fanno venire i brividi.

Gimmi non è descritto come un bello e dannato.

Come un uomo danneggiato da redimere e salvare.

 Né come una vittima di chissà quale malsana storia.

E’ prodotto del suo tempo, è una sua scelta quello di accettare una cultura che si nutre della forza dell’altro lasciando, solo un guscio vuoto. E’ malato, un manipolatore che riesce a dominare la donna e a sottometterla usando le sue insicurezze e la sua fragilità per forgiare catene che le ustionano i polsi.

Adele lo sa.

Nei suoi pensieri spessi confusi si rende conto di essere oramai vittima di se stessa, di un’incapacità di amarsi così tanto da respingere il male.

Lei lo accoglie quasi con una sorta di macabro piacere come se fosse l’unico modo per non sentire l’urlo delle sue ferite.

 Una donna apparentemente di successo, in un mondo che perde inevitabilmente i suoi colori, persino il senso di bellezza.

 Lei, che forse credeva nella cultura, è stritolata da ingranaggi che la  maciullano ma che, al contempo sostiene, perché firmataria del patto diabolico con il dio successo.

Così in cambio di una vita lussuosa lei baratta se stessa.

Baratta i sogni e la forza di imporli a quel mondo che non è altro che un cadavere che si trascina lacero e contuso.

E lei impersona quella decadenza non soltanto romana ma umana.

Un mondo dove è l’apparenza, il compromesso a fare da padrone.

 Un mondo che le anime le svilisce anche con il più nobile dei valori: il lavoro.

Adele è spenta.

Per la violenza domestica che non è altro che un ulteriore modo per scontare chissà quale pena.

 Forse quella di aver avuto una vita privilegiata, ma fatta essa stessa di illusioni.

Per una colpa che si trascina dietro ed ha il volto di un padre geloso.

Di soprusi silenti ma costanti che minano, alle fondamenta, il suo esser donna.

Adele subisce.

In quei momenti di orrore diventa la bambola senza volontà né vita.

E i suoi lividi sono l’unica ricchezza che possiede.

Nessuno alla fine sembra ascoltarla, ha la vera volontà di proteggerla. La considera essa stessa partecipe di un grottesco gioco delle parti, dove la violenza è sesso e il sesso è violenza.

Sembra quasi che il mondo descritto dall’autrice abbia bisogno di questi estremi per non guardare il suo stesso sfacelo.

Abbia bisogno dei Gimmi quasi per scontare la sua pena, la sua responsabilità, quella di aver accertato il logorio delle passioni come necessario al progresso.

E in fondo Adele è la fanciulla sacrificale che deve andare in pasto la Minotauro, incapace di uscire da un labirinto che la annienta e l’annichilisce.

Deve essere colei che fa quietare la sete di sangue del mostro.

Lei è in fondo colei che deve cedere davanti alla forza bruta e insensata del Minotauro.

Senza la speranza del filo che possa condurla fuori dal labirinto con il suo tanfo di morte.

E’ un libro duro, crudo, difficile da digerire.

Un libro senza eroi.

Un libro che deve per sua stessa natura trascinarti nell’inferno e fartelo vivere, farti comprende quel meccanismo che permette a tante, troppe donne, di subire la violenza maschile.

Capita a chiunque di ammalarsi di questa specie di amore. Non è così strano. La situazione sfugge al nostro controllo senza che ce ne accorgiamo. Pensiamo di essere in possesso di ogni nostra facoltà, ci sentiamo sereni, razionali, ma non è vero, e si vede lontano un miglio che non è così, è come prendere il raccordo contromano e domandarsi come mai tutti abbiano sbagliato l’uscita. Lo vediamo nello specchio, nella tristezza del nostro sguardo, nella mancanza di entusiasmo che ci divora, nelle risate false, negli sguardi increduli degli amici, in quelli annoiati di chi ci ripete da anni la stessa cosa: lascialo. Invece, quella sera io lo seguii”.

Perché Adele stessa è ammalata.

Di una folle idea di amore, quello che comporta l’onnubilamento del sé, quello che deve sacrificarsi fino all’estremo gesto.

 Quella forma di amore che costringe a dire sì e perdonare.

Quello che ci fa dire meglio questo di nulla, della solitudine, della sconfitta come donna.

Quello che dobbiamo vivere per forza per non subire il chiacchiericcio maligno di una società che non vuole essa stessa persone con un anima integra.

Perché deve trionfare sui sogni e sulla meraviglia

Adele è il suo ambiente e l’ambiente forma Adele.

Perché è la società che ha bisogno sia del Minotauro che di colei che a lui possa essere donata.

Forse solo osservando un meccanismo malato è possibile spezzare le catene che ci rendono prigioniere.

Forse è solo la verità, quella orribile, che può renderci libere.

 Forse è necessario osservare i pensieri di una donna vittima di soprusi per spiegarsi dove sia finita quella forza che la rendeva una Dea, terribile e potente.