L’enigma del Cristo velato: quando arte e storia si fanno suspense

L’enigma del Cristo velato: quando arte e storia si fanno suspense

È attesa per maggio l’uscita del romanzo “L’enigma del Cristo velato”, la prima indagine dell’ispettore Russo, scritto dal napoletano Emanuele Scherillo (classe ’86) attore professionista e formatore con la passione per la scrittura. Era da tempo che coltivava l’idea di un romanzo. Appassionato di gialli e thriller, aveva già in mente la sua storia.

Ma come farla partire? Da dove hai cominciato?
Direi da una folgorazione. Ero in visita alla Cappella Sansevero con un amico che non ci era mai stato, e, camminando tra i turisti, a testa alta, per raccontargli le opere, mi è letteralmente caduto lo sguardo sul Cristo. Certo, lo avevo visto altre volte, ma in quel momento in particolare, mi è parso di vedere davanti a me la scena di apertura del romanzo. E da lì è nato tutto.

Fra le altre cose ami l’arte, vero?
Sono sempre stato un appassionato di storia, fin dalle elementari. E ho sempre avuto la convinzione che la storia si potesse studiare anche attraverso le opere d’arte, testimonianze tangibili di epoche e personaggi. La passione per l’arte è stata un po’ la conseguenza di questo ed è alimentata dalla mia curiosità. Quando voglio conoscere o studiare qualcosa comincio a documentarmi, poi però devo correre sul posto a guardare di persona. Per fortuna il lavoro di attore mi permette di viaggiare molto e non perdo occasione di “guardare”, a seconda dei luoghi dove il teatro mi porta e degli studi che faccio di volta in volta.

L’aver inserito la Cappella Sansevero e il Cristo Velato è un omaggio alla tua città, o c’è una particolare ragione che ti ha spinto alla scelta?
In parte si tratta di un omaggio a Napoli perché conserva, a mio parere, una delle opere più belle mai create, oltre a tanti altri capolavori che spesso sono sotto gli occhi di tutti ma delle quali non ci accorgiamo. Inoltre c’è da aggiungere la storia legata proprio alla creazione del Cristo e al suo storico “padre”, se così lo vogliamo chiamare. Raimondo di Sangro principe di Sansevero, la cui figura, da appassionato di storia, mi ha da sempre affascinato.

Che tipo è il protagonista del romanzo, l’ispettore Russo?
Mi piacerebbe che Russo esistesse davvero, per ascoltare direttamente da lui la risposta. In fondo anch’io ho fatto la sua conoscenza col tempo, pagina dopo pagina. È un uomo che ha conosciuto l’onestà attraverso la disonestà; conosce entrambi i lati della barricata e la sua vita è stata a lungo in bilico su di essa. Un episodio della sua biografia, però, lo ha portato a schierarsi dalla parte della legge. Nonostante questo Russo è uno che vive in funzione di un codice etico tutto suo, che spesso fa a pugni con quello del Diritto, è uno che ha l’amicizia e la lealtà come valori primari assoluti. Ed è una testa dura, che spesso non esita a scavalcare gerarchie e procedure per arrivare alla verità e alla giustizia.

Il romanzo è ambientato a Napoli. Che aspetto hai descritto della città?
Ho cercato di trarne la parte poetica, quella di cui sono sempre stato innamorato, e di descriverla come meglio potevo. Pur essendo, questo, un romanzo in cui si parla di criminalità, ho cercato di allontanarmi dall’aspetto stile Gomorra che ormai è pregnante in tutto ciò che parla di Napoli. Tutti i personaggi che popolano il romanzo sono profondamente influenzati dalla tradizione e da quella che si definisce “napoletanità”, caratteristica genuina e innata in chiunque sia nato all’ombra del Vesuvio.