Io e il Minotauro: la violenza di genere senza falsa retorica

Io e il Minotauro: la violenza di genere senza falsa retorica

di Stella GRILLO

Io e il Minotauro è il nuovo libro di Elena Bibolotti, edito da Giazira Scritture. La terza opera della scrittrice dopo Justine 2.0  e Conversazioni sentimentali in metropolitana.

Il testo addentra il lettore in un labirinto vischioso al cospetto di una relazione malata e tossica, come tante se ne vedono: non esistono sentimentalismi, né empatia, né tanto meno forme di pietismo a riguardo. Il lettore viene catapultato direttamente in una storia dalle dinamiche in cui fa da padrona la violenza sulle donne in tutta la sua interezza e crudeltà. La scrittrice che è considerata una narratrice dell’eros, non scade in tematiche banali solo per confezionare un testo che può incrementare una vendita commerciale. Questo tipo di genere letterario, ormai stantio e fermo a stanze dei giochi o uomini potenti che seducono ingenue ma bellissime ragazze, viene “svecchiato”’ e rinnovato dalla Bibolotti, gettando luce non sul contorno ma sulle emozioni di coloro che popolano le pagine del romanzo. Il suo auspicio, infatti, è quello di innestare linfa vitale ai personaggi che analizza: la narrazione delle pieghe più intime dell’animo dei protagonisti raccontati dalla scrittrice lascia incollato il lettore alle pagine, sorprendendolo.

Cosa fa la differenza fra l’eros commerciale, così in voga e modaiolo nella produzione letteraria degli ultimi anni, e il nuovo modo di parlare di erotismo della Bibolotti? L’autrice non si limita alla parvenza o all’intreccio letterario fatto di causa-effetto e una degna conclusione romanzata e fruibile alle politiche commerciali. L’espediente narrativo che dà un guizzo alle sue produzioni è l’insinuare e instillare dubbi al lettore. Non l’immobile staticità che si ferma alla superficie delle cose, piuttosto la tacita soddisfazione che colui che si immerge fra le pagine non acquisisca solo un contenuto, ma si ponga, soprattutto, delle domande che rechino una maggiore conoscenza di se stessi alla fine del romanzo. L’erotismo e la letteratura appartenente a questo filone sono quindi utilizzati per raccontare esistenze comuni, poiché una porzione imprescindibile nella vita di ognuno è capace di svelare sfumature controverse.

Il tema della violenza di genere è affrontato in tutta la sua crudezza e crudeltà: si penetra all’interno dell’azione senza porsi nell’ottica di chi giudica da un punto di vista esterno, né di chi fa moralismi.

La scrittrice sceglie di perpetuare questa tematica forte e cruda concentrandosi solo ed esclusivamente sul rapporto Adele e Gimmi: con precisione quasi chirurgica pare analizzare, per un certo verso scientificamente, la relazione fra i due; minuziosamente esplora gli strati che sottendono le loro interazioni, i colloqui, lo scricchiolare degli ingranaggi dei dialoghi e delle azioni dei due che arrecano flussi emotivi alla coppia. La Bibolotti ne esplora le contraddizioni, le incoerenze, le particolarità, fino a plasmare una concretezza sostanziale che, visti i risvolti relazionali tra Adele e Gimmi, tende alla complessità. Una difficoltà che nasce da una non-rappresentabilità dei motivi e delle cause che aleggiano attorno alla relazione. Gimmi è un carnefice stratega: tuttavia prevedibile nella messa in atto dei suoi soprusi, tendenti alla classica e banale ripetizione degli stessi. Nel corso delle pagine si noterà come Adele arrivi ad anticipare le mosse dell’uomo quasi in maniera istintiva: gomitate, teste sbattute contro la parete, brama di dominazione di ogni genere. Un compendio di cattiverie fisiche e morali. Tuttavia l’uomo che le fa subire violenza è capace anche di slanci passionali, affettivi e sentimentali: una colla sentimentale che confonde la protagonista e la tiene appiccicata e invischiata in un circuito labirintico; un miscuglio di emozioni che investono prepotentemente Adele lasciandola inerme, spezzata, quasi cristallizzata in una situazione che appare senza un barlume che indichi una via d’uscita. Un atteggiamento verso il quale la donna non ha difese. Per gestirlo sviluppa un’individualità che verte alla sottomissione: un mix di timore, adrenalina e trasporto che la fa annaspare e, al contempo, sprofondare in quel circolo vizioso che lei stessa nutre.

L’autrice non giustifica l’atto violento né, tantomeno, punta il dito contro la vittima. Non confeziona ad hoc teorie semplicistiche e banali volte all’uso di una retorica ormai vista e rivista. Nessuna presa di posizione, solo una tacita domanda indiretta verso chi legge. Un invito alla riflessione sul tema più antico del mondo. La novità sta in questo: la scrittrice ribalta la situazione e sembra rivolgersi alla coscienza e agli alti valori di chi legge. Punta il dito sul lettore, asserendo che in un rapporto fra due soggetti, fatto di scambi intellettuali, erotici e fisici, oltre che sentimentali, non sviluppare il proprio essere, la propria individualità e la consapevolezza di chi si è realmente sconfini nella celebrazione della maternità di ogni difetto: una società che si crede evoluta ma che in realtà non lo è se si catapulta in errori di questo calibro. Un lusso che non può essere concesso poiché ne fa conseguire una carenza di responsabilità nei confronti dei soggetti coinvolti in situazioni di violenza: partner, figli, amici.

Lo stile di scrittura è asciutto e per niente prolisso: scritto in prima persona, elegante, dagli alti toni lirici ma anche capace di toni bruschi, impregnato di pathos, accattivante ma senza fronzoli. Un romanzo crudo, sottile, senza inutili orpelli. Una fotografia del reale che analizza con minuzia anche la società borghese fatta di parvenza oltre che un argomento complesso come la violenza.

Io e il Minotauro di Elena Bibolotti, non è solo un dipinto del realismo delle violenze di genere: privo di prolissità, è anche una forte critica a un mondo fatto di apparenza e alle dinamiche perverse che ne derivano.

(recensione tratta da sulromanzo.it)